42 - 28 Gennaio 2019

LE AMICHE AL TAVOLINO DI UN BAR

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Le amiche a un certo punto si ritrovano al tavolino di un bar dopo anni in cui non lo facevano più.

Una cosa così banale come bere un caffè sedute al tavolino di un bar.

Eppure ci è sembrata un’impresa titanica per anni. Ma poi perché?

Te lo spiego, siediti.

Perché sono stati anni di follia, di neonati e poi di bambini, di corse contro il tempo, di riposizionamenti, di iscrizioni online.

Di giorni volati, diventati presto mesi, di rinunce, di lacrime, di urla.

Di felicità allo stato puro, anche, quella felicità che non riesci a spiegare, che forse hai paura a dire.

Sia mai che porti sfiga.

Sono stati anni di mazzate, di dolori solo privati, di aspettative deluse, di promesse non mantenute, sono stati anni di compromessi, eh già i compromessi.

Di aperitivi mancati, di lavori cambiati, di lavori abbandonati, di lavori inventati, dal nulla di sana pianta.

Sono stati anni di montagne da scalare, quando di discesa manco l’ombra all’orizzonte.

E poi di notti insonni, di claustrofobia e chi non si è sentito soffocare, alzi la mano, coraggio.

Sì, sono stati anche anni di coraggio, perché come sapete ce ne vuole tanto per andarsene, e quanto ne hai avuto tu lo so solo io.

Ma ce ne vuole ancora di più per rimanere, per perdonare, per perdonarsi, per ricominciare.

Sono stati anni di lutti, di ospedali, di ore annullate in una sala d’attesa, di risposte che non arrivavano, dopo ti chiedi come hai fatto a reggere, come si fa a reggere?

Sono stati anni di matrimoni da ricucire e di matrimoni da chiudere, a chiave per sempre.

E poi sì certo, sono stati anni di chiavi perse, quelle di casa e quelle della testa. Quante ne abbiamo duplicate di chiavi io e te?

Che non è così semplice ritrovare la chiave, ci si deve lavorare su.

Sono stati anni di case da cambiare, di scelte da rifare, di verità da scoprire, di segreti da seppellire.

Sono stati gli anni dei social, noi siamo anche vecchi, siamo autodidatti, non ci siamo nati con i social.

Abbiamo scoperto sulla nostra pelle i danni dei social, ci eravamo illusi di ritrovarci di là che di qua non avevamo tempo.

E invece abbiamo rischiato di perderci.

Che la vita virtuale non può sostituire quella reale.

Non ci sono bastati 10 anni per capire che un tramonto pubblicato non significa stare bene, che un like non sostituisce una telefonata.

Ci siamo dimenticati di telefonarci. Ci siamo sostanzialmente dimenticati di parlarci.

Siamo stati travolti, va bene, provateci voi a crescere negli anni Ottanta e ritrovarvi a 30 anni catapultati su Facebook.

Come potevamo non fare danni? I nostri figli, i nostri ragazzi, saranno più bravi di noi.

Sono stati anni tosti, sono stati anni di rughe.

Le amiche a un certo punto, quando sono amiche, si siedono al tavolino di un bar per un caffè.

Nel migliore dei casi a quel tavolino ci si siedono all’ora dell’aperitivo, stappano una bottiglia di rosso.

Che comunque è più facile di un caffè, talvolta.

Ora non lo ricordi, sono tante le cose che non ricordi, ma certo deve essere stato difficile sicuramente, non c’è dubbio se ci abbiamo messo 10 anni a sederci qui di nuovo.

So che non è stato facile starmi dietro, assecondarmi, dimenticarmi talvolta, lasciarmi andare via anche, capirmi, non giudicarmi soprattutto.

Non è stato facile nemmeno con te, sai.

Però se siamo qui, sedute a questo tavolino in un qualunque bar di Milano o del mondo, vuol dire che ci siamo riuscite.

Tu non hai rughe però, così non vale.

Eh ma tesoro mio, è la ciccia, se sono grassa avrò ben qual vantaggio.

Le amiche a un certo punto mettono sulla bilancia chili e rughe.

Hanno capito che tutto non possono avere. O rughe o ciccia.

Ridono quando tirano fuori dalla borsa gli occhialini per leggere.

No a me non fa ridere, io allontano la testa, col cazzo che mi compro gli occhialini da vecchia, io ho la cataratta precoce, figurati un po’, serviranno a qualcosa le mie 7 diottrie mancanti, per la miseria.

Le amiche, a un certo punto, si scrutano a vicenda.

Cercando la 15enne che scriveva la A cerchiata di anarchia sul muro della palestra di un liceo.

Tu ti stai chiedendo invece dove sia finita la 15enne “carina con gli occhiali e con la vocina”, vero?

Le amiche, a un certo punto, sanno bene che la vita è stata a tratti generosa e a tratti molto avara.

Si è ripresa talvolta tutto quello che ci aveva regalato, ci ha punito e poi ci ha premiato di nuovo.

In un’altalena continua che si chiama vita, appunto.

Eh già, le amiche a un certo punto fanno un bilancio.

Fanno i conti con quello che è stato e quello che avevano sognato.

Alcune sono diventate ciniche, proprio loro che erano così timorose da ragazzine, oggi non hanno più paura di niente.

Talvolta sembrano fingere ma non fingono, smussano, mediano, consolidano.

Altre hanno ancora la stessa identica voglia di scrivere la A di anarchia su un muro che però non c’è più.

Perché quel muro è caduto, si è frantumato, è stato spostato.

E tu le ammiri, dure e pure, le amiche a un certo punto.

Che la vita mentre ti bastona ti cambia, ti ridimensiona, ti plasma.

E invece lei no, sempre lì con il suo pennarello in mano a scrivere A cerchiata, di quell’anarchia che a questo mondo non ha proprio trovato posto.

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