49 - 19 Giugno 2017

DI PARTENZE E RITORNI

partenze

Detesto il giorno della partenza, quello prima, quello dopo, quelli intorno, insomma.

Quando sono in una città in veste da turista l’ultimo giorno lo butto letteralmente via, in attesa dell’ora della partenza.

E quando le partenze invece sono quelle epocali, bé non ve lo spiego neanche. Non è solo per le valigie da fare o da disfare, per la casa che si trasforma in un suq, mentre tenti disperatamente di sistemare.

E non è neanche per le centinaia di incombenze che ti lasci per l’ultimo giorno. Come se si potesse realizzare una specie di miracolo e l’ultimo giorno durasse di più. Così, per magia.

Non è neppure per le liste che lasci in giro per casa e che poi depenni come una pazza, sperando di non dimenticare niente. Ma niente cosa poi?

È per quella solita sensazione lì di cambiamento imminente, di routine che si spezza, di equilibri nuovi da ricreare, di facce che non vedrai per un po’, di rassicuranti procedure che saltano.

E tutto questo succede in un attimo solo, quando ti chiudi la porta, dietro alle spalle.

Mi sono sempre chiesta se questa avversione per lo spostamento sia un fatto genetico, ereditario, oppure culturale. Cioè, ti ci educano ad essere così refrattaria ai movimenti o ci nasci? Non lo so. So solo che con il tempo questa cosa non migliora, anzi.

Non amo le partenze né in andata né in ritorno, qualunque sia la meta.

E anche se lo sai che poi sarà bello e ti ripeti che andrà tutto bene, succede proprio mentre svuoti il freezer e pulisci il frigorifero.

All’improvviso arriva quel magone là. Quello delle partenze.

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