ALMARINA, UN LIBRO DI VALERIA PARRELLA
Einaudi 2019
Almarina di Valeria Parrella è un romanzo ruvido e bellissimo.
Uso questo temine “ruvido” proprio perché Valeria Parrella non ci fa sconti mentre ci racconta la storia di Almarina.
Protagonista del romanzo è Elisabetta Maiorano, una professoressa di matematica che insegna nel carcere minorile di Nisida.
La gente ha a che fare con gli ospedali, qualche volta, con gli avvocati qualche altra.
La gente che cresce ha a che fare con i cimiteri, quasi sempre. E sono posti brutti, in cui ci si sente perennemente a disagio, punti dal modo in cui la nostra esistenza si è andata a incagliare e non vediamo l’ora di ridare motore e allontanarci più in fretta possibile. Dopo, nel tempo, lo racconteremo o eviteremo di pensarci.
Ma ho abbastanza dimestichezza con la statistica per affermare che poche persone hanno a che fare con il carcere e con il tribunale dei minori. Non sono cose che ti capitano e basta. Io il carcere me lo ero andata a cercare il giorno in cui avevo messo Nisida come terza preferenza per l’assegnazione.
È qui che si conoscono Elisabetta e Almarina, la professoressa e l’alunna, che però è anche una detenuta.
Elisabetta non può affezionarsi ai ragazzi ai quali insegna perché sa che da un giorno all’altro, talvolta senza preavviso, usciranno dal carcere e non ne saprà più nulla.
Vederli andare via è la cosa più difficile, perché: dove andranno. Sono ancora così piccoli, e torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui.
Almarina rivela ad Elisabetta, vedova che non è riuscita ad avere né ad adottare figli, un suo bisogno profondo.
Quello di occuparsi di lei, prendersene cura, semplicemente amarla.
Non si realizza subito quando la vita sta cambiando. Oltre il movimento che vi imprimiamo, non si comprende immediatamente il cambiamento. Io ci metto un sacco. Che sia voluto o meno, mi accorgo di quel nuovo corso mentre ci scorro dentro.
Riesco a comprendere qualcosa di me solo negli specchi, guardando le foto del passato, anche recente, e mi studio, come se quella fosse un’altra persona, e infatti lo è. L’azione precede la consapevolezza.
Elisabetta, ogni volta che va a lavorare, varca un cancello che non è solo il cancello di un carcere.
È anche il cancello che separa due mondi: Napoli, il passato dei ragazzi, e il carcere, il loro presente e la finestra sul loro futuro.
Un carcere minorile infatti non è solo colpe, giudizio e pene da scontare, ma è anche o soprattutto tentativo di ricostruzione.
Dove i giudici inviano i ragazzini più per toglierli dalla miseria che per punirli.
Se si vuole che Nisida salpi, bisogna sciogliere il nodo marinaio che la tiene attraccata alla sua città regale, se si vuole essere liberi, ci si deve sentire liberi.
Prima di entrare a Nisida Elisabetta, come tutti gli operatori, lascia il cellulare dentro a un armadietto.
Perché insegno nel carcere minorile di Nisida, e il mio cellulare squilla nella cassetta di sicurezza all’ingresso, dove il regolamento vuole che stia.
Diventa irreperibile ed è così che perderà la telefonata in cui le si doveva dire che suo marito si era sentito male.
Ognuno di noi stava dove doveva stare, ma intanto il corpo di mio marito con il cuore scoppiato nel petto era stato portato dal marciapiedi all’ambulanza, dall’ambulanza al pronto soccorso.
E poi in Almerina di Valeria Parrella c’è Napoli.
Napoli è una città che ci sa fare con la morte, le dà il giusto peso, che è quello della vita: cioè, preso individualmente, poco più di nulla.
E soprattutto c’è l’amore delle madri, di tutte le madri.
La strada per arrivare a Nisida è lunga e in salita, e tenere tutto assieme è faticoso, e fare tutto bene è impossibile. E così, nel quotidiano fare, avevo dimenticato sugli scalini della casa antica, lì dove i ricordi restano in nostra assenza, l’amore delle madri: senza merito, senza reciprocità e senza conquista.