34 - 23 Luglio 2020

FIORE DI ROCCIA DI ILARIA TUTI

Longanesi 2020

Fiore di roccia

Fiore di roccia è uno dei nomi della stella alpina.

Non lo sapevo.

L’ho scoperto come tante altre cose leggendo Fiore di roccia, un romanzo meraviglioso di Ilaria Tuti.

Ambientato nel 1915 durante la Prima Guerra Mondiale in Friuli, al fronte del Pal Piccolo, sulle Alpi Carniche.

La storia che ci viene raccontata è una di quelle storie dimenticate e forse mai raccontate che riguardano le donne.

Ho imparato dai libri che la realtà è una nostra personale interpretazione dei fatti. Stendiamo incessantemente un tessuto su persone e cose, ne sistemiamo le pieghe con i giudizi, oppure le creiamo con i dubbi. Tagliamo e cuciamo, confezionando con i pensieri il nostro piccolo mondo, in cui ci raccontiamo chi siamo e chi sono gli altri, ma il punto di vista di un personaggio non è mai attendibile per definizione, nemmeno se è quello del protagonista della storia.

Un gruppo di giovani ragazze, poi chiamate “le Portatrici”, salgono ogni notte al fronte per portare ai soldati armi, generi di conforto, biancheria pulita.

E tornano poi a valle talvolta con un carico pesante e tragico, quello delle barelle con i corpi dei caduti.

Salgono con gli scarpetz ai piedi, le tipiche friulane, cucite a mano con spago e panni vecchi.

Con quelle calzature sono più silenziose nella salita e non si fanno scoprire dai nemici così vicini, i cecchini austriaci nascosti nella montagna.

Le donne di Fiore di roccia salgono ogni notte con una forza che non sanno di avere.

Incuranti del dolore alle spalle per il peso delle gerle, del freddo e della morte che potrebbe aspettarle a ogni metro.

Questa è la mia terra, vi sono sepolti i miei avi. Laggiù c’è la mia casa, mio padre mi attende. E io, finalmente, so di che cosa sono capace.

E quando arrivano si mescolano ai soldati, inizialmente confusi dalla loro presenza, ma poi confortati.

Diventano a tutti gli effetti dei soldati, che con onore e dignità difendono la loro terra.

In guerra ci si deve fidare dei propri uomini e dei propri compagni come se fossero padri e sorelle. È una catena di sopravvivenza. Rispetto, fiducia, valore: non sono parole.

La storia di Fiore di roccia ci viene raccontata da Agata, capofila delle donne di Timau a cui durante la Messa viene chiesto di salire dagli alpini in trincea.

In verità, amo le parole, ma l’istinto è quello di custodirle. Ho imparato a maneggiare la loro arte, ma dentro di me è ancora salda la convinzione che alcuni, pochissimi, sentimenti non abbiano bisogno di suoni e non richiedano dialettica. Si espandono nei gesti, cantano nei sensi.

E loro accettano, come sanno fare le donne che dall’inizio della storia del mondo sanno cos’è il sacrificio e la cura dei figli, dei vecchi, dei campi.

E poi in Fiore di roccia c’è l’amore.

Un amore che resta in sottofondo, timido, quasi non riconosciuto, spaventato.

Ho scelto di essere libera. Libera da questa guerra, che gli altri hanno deciso per noi. Libera dalla gabbia di un confine, che non ho tracciato io. Libera da un odio che non mi appartiene e dalla palude del sospetto. Quando tutto attorno a me era morte, ho scelto la speranza.

Ma che se deve fare il suo corso e lo fa anche in guerra, anche se si appartiene a due paesi diversi, anche se si parlano due lingue diverse.

Fiore di roccia è un romanzo duro, ruvido, quasi maschile.

Ecco perché è piaciuto anche ai miei amici uomini che spesso non condividono i miei gusti letterari.

Mi piace pensare che queste donne dimenticate dalla storia fossero dei fiori di roccia: delicate e dedite alla cura, ma forti, fortissime, capaci di scalare le montagne, imbracciare fucili, trasportare morti e curare feriti.

Non conosco le rose. C’è invece un’espressione felice che racconta la tenacia di questa stella alpina: noi la chiamiamo “fiore di roccia”.

E soprattutto senza smettere di sperare, sognare e amare: la guerra può anche non cambiare le persone.

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