IL COLIBRÍ DI SANDRO VERONESI
La nave di Teseo 2019
Il Colibrì di Sandro Veronesi è un libro per chi ha le spalle larghe.
Per chi ha sofferto, per chi ci ha rimesso il cuore, per chi ha fatto un percorso e ha capito, tentando di superare il proprio dolore.
Ve lo dico subito, perché Il Colibrì è un libro tosto, che non vi farà sconti.
Un pugno nello stomaco, un libro che non puoi finire, rimettere in libreria e non pensarci più.
Il Colibrì di Sandro Veronesi lo finisci in un attimo perché non te ne stacchi più.
Dovrebbe essere noto – e invece non lo è – che il destino dei rapporti tra le persone viene deciso all’inizio, una volta per tutte, sempre, e che per sapere in anticipo come andranno a finire le cose basta guardare come sono cominciate.
In effetti, quando un rapporto nasce c’è sempre un momento di illuminazione nel quale si riesce anche a vederlo crescere, distendersi nel tempo, diventare ciò che diventerà e finire come finirà – tutto insieme.
Si vede bene perché in realtà è già tutto contenuto nell’inizio, come la forma di ogni cosa è contenuta nel suo primo manifestarsi.
Ma si tratta di un momento, per l’appunto, e poi quella visione svanisce, o viene rimossa, ed è solo per questo che le storie tra le persone producono sorprese, danni, piacere o dolore imprevisto.
Lo sapevamo, per un lucido, breve momento l’avevamo saputo, all’inizio, ma poi, per il resto della nostra vita, non l’abbiamo saputo più.
Oppure lo centellinerai per farlo durare di più, ben sapendo che di libri così te ne capiteranno pochi.
Forse solo Alessandro Piperno per me è stato così.
Peraltro, proprio lui ha scritto la recensione più bella su Il Colibrì di Sandro Veronesi.
Marco Carrera è il Colibrì, perché in adolescenza è piccolo, è vero, ma soprattutto perché rimane fermo, o almeno ci prova.
è solo per dirti che non sono rimasto fermo nemmeno io, magari ci fossi riuscito. Fosse dipeso da me sì, ma non è stato possibile, e ognuno dei cambiamenti che ho subito ha prodotto un urto tremendo, che mi ha spostato di peso, sbattendomi letteralmente in un’altra vita, e poi in un’altra, e poi in un’altra, vite alle quali ho dovuto adattarmi brutalmente senza mediazioni.
Mentre il mondo gira, si incasina, scompare e ritorna indietro, mentre tutti vanno cercando lui prova a rimanere fermo.
Proprio come il colibrì.
Mentre la vita passa, più velocemente e più tragicamente di quanto ti saresti mai aspettato, lui si agita molto per rimanere fermo.
Sì, credo anch’io che se tu fossi riuscita a fermarti noi due avremmo potuto stare insime. Ma un destino è un destino, e se io sono il colibrì, tu sei il leone o la gazzella di quel detto che sinceramente mi è sempre stato sui coglioni, quello dell’alzarsi ogni mattina e mettersi a correre, chiunque tu sia.
Ho imparato, a forza di leggere, che in un libro la forma per me è importante quanto la sostanza.
Nulla mi emoziona di più, quando apro un libro, del capire che ci sono salti temporali, qui sono davvero tanti quasi difficili talvolta.
Ma la sapienza con cui il quadro si compone, capitolo dopo capitolo, bé quella non so spiegarvela, dovete leggerlo.
Perché il passato fa parte di noi, ci insegna il futuro anche (purtroppo?).
L’infelicità rimane tale anche se diventa una scelta, e se da un certo giorno in poi essa è l’unico vero prodotto di un matrimonio, è quella che ai figli si trasmette.
Ne Il Colibri di Sandro Veronesi il passato fa parte dell’oggi.
Continua a saltar fuori nei capitoli apparentemente disorganizzati, negli incastri temporali che capisci solo dopo, in quegli anni messi tra parentesi nei titoli dei capitoli.
Ma è vero che se una storia d’amore non finisce, o come in questo caso nemmeno comincia, essa continuerà a perseguitare la vita dei protagonisti con il suo nulla di cose non dette, azioni non compiute, baci non dati.
C’è la famiglia in questo libro, come spesso succede nei libri che mi conquistano.
La famiglia con tutto il suo carico di tragedia, di psicosi, di casini, di genetica, di case, di vacanze infernali, di ricordi, di morti, di malattie, di conti in sospeso, di fughe e di sparizioni.
(…) perché uniti si risolve tutto e per rafforzare le famiglie non c’è di meglio che risolvere insieme i problemi.
Solo che…
Solo che era tutto sbagliato, fin dall’inizio, tutto una finzione.
Succede spesso, quando si formano le coppie, e poi le famiglie – solo che in questo caso la finzione era davvero troppa, e troppo patologica, e il disastro inevitabile.
Nessuno dei due era innocente, questo va detto.