63 - 20 Marzo 2017

LOUIS VUITTON, UNA BORSA PER SEMPRE?

Galleria Vittorio Emanuele 2, Milano

it.louisvuitton.com

Sono entrata dopo anni da Louis Vuitton in Galleria. Davvero erano anni.

Dovevo far riparare una borsa di mia mamma e una mia borsa, che ho scoperto essermi stata regalata nel dicembre 2006, quindi immagino per Natale. Sì perché lì è tutto registrato. Cliccano un po’ e ti dicono tutto quello che hai.

Ho scoperto anche che questa borsa è uscita di produzione da 8 anni ed è rimpianta da chi lavora in Louis Vuitton. È fatta interamente a mano e tutti la trovano meravigliosa e indimenticabile. Io non lo sapevo.

Prometto che quando me la restituiranno la tratterò meglio, magari la userò meno, sicuramente le porterò più rispetto e la riempirò meno, facendo meno danni.

Sono rimasta colpita dalla quantità di stranieri, russi e giapponesi, che compravano come se non ci fosse un domani. Ho visto quantità di banconote imbarazzanti. 

Ho ripensato, da brava nostalgica, a quando quella borsa mi fu regalata. Ad un’amica che ce l’aveva uguale, solo un po’ più piccola.

Ho ripensato a come le cose cambiano anche se poi i sentimenti no, non cambiano.

Allora avevamo solo una figlia, il secondo ancora da concepire, proprio nella testa intendo. Viola era stata battezzata da pochi giorni e il mio papà aveva appena saputo che a gennaio sarebbe stato operato. La prima operazione di una serie, non lunga per fortuna.

Sono rimasta colpita dall’eleganza e dalla professionalità delle venditrici. Vestite di nero, tutte, ciascuna con una tracollina nera a contenere guanto e, immagino, cellulare. Tutte eleganti, tutte professionali, tutte direi chic. Ma soprattutto tutte di una gentilezza sconcertante.

E voi direte: e ci mancherebbe.

Si è vero, ci mancherebbe però non è mica detto. Quante sono le commesse che ti spennano con faccia da bip? 

La persona che mi ha seguita mi ha restituito la borsa della mamma riparata dopo poche ore, l’aveva piegata come non pensavo si potesse. Poi me l’ha riposta in una scatola, a sua volta collocata in una bellissima sacca di cartoncino arancione. 

Ho ripensato agli anni in cui durante l’università guadagnavo i miei soldi facendo la commessa in un pazzo negozio di vestiti colorati. Chi se lo ricorda Eliogabalo a Milano? In Porta Ticinese dove oggi c’è il McDonald.

E allora da brava Pagliaccia quale sono, ho cercato di spezzare il ghiaccio e ho raccontato a questa venditrice super professionale che a quei tempi il titolare del negozio mi insegnò come prima cosa a non fare mai riferimenti con i clienti agli acquisti passati. Si sa mai che fossero non per la moglie, ma per qualcun altro.

Lei era un po’ in difficoltà, giustamente, io mi stavo allargando, però mi ha sorriso. Da brave commesse ci siamo capite.

Sono uscita col mio bustone arancione sentendomi come una russa a cui avevano fatto un mega regalo. 

Anche un po’ come Audrey Hepburn da Tiffany. Ho pensato ancora una volta che un posto bello è comunque meglio di un posto brutto, anche se non ti compri niente, anche se è tutto assurdamente folle. Però è grande, entri, saluti, sorridi, ti fai un giretto e ti senti Audrey.

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